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DIVINO ANDINO – IL ROMANZO

Il giorno seguente lasciammo gli zaini in custodia trattenendo solo alcuni indumenti pesanti e il necessario per il bagno e lasciammo il piccolo paese di Uyuni a bordo di un Land Rover 4×4 per un rally di 3 giorni che sarebbe diventata una delle esperienze di viaggio più belle della mia vita.Avevamo comprato il pacchetto da una certa Fatima, una donna robusta, bassa con gli incisivi contornati da una piccola striscia d’oro e una pallina di grasso sulla punta del naso.Si era dimostrata simpatica e disponibile e ci eravamo accordati per l’onestissima cifra di 600 Bolivianos.

Dei sette posti sul fuoristrada, oltre all’autista Raùl col quale condividevo la passione per la buona musica tradizionale boliviana, c’era il bretone Antoniò di 28 anni, alto,serio,nasuto, due giovanissime sorelle francesi di 20 e 21 anni, molto carine nonostante i tipici denti sporgenti che connotano i cugini d’oltralpe, Hans ventenne di Hamburg, razza ariana, e per finire Vas un ragazzo naturalizzato australiano ma originario dello Sri-Lanka.Non mi stupisce il fatto che siano tutti stranieri e pure tanto più giovani di me, perché è stato un tema ricorrente dei vari viaggi che ho fatto per il mondo, quello di incontrare viaggiatori zaino in spalla di qualsiasi nazionalità fuorché italiana, che generalmente al viaggio di avventura preferiscono spaparanzarsi su un lettino al sole per le due classiche settimane di ferie l’anno e tornare nel Bel Paese felici e contenti senza aver visto altro che la camera d’albergo e il lettino.

Antoniò dirige un centro educativo a Brest e ha approfittato della chiusura invernale per perdersi tra Bolivia e Cile, Hans è appena ventenne e  ha ancora tempo davanti per capire meglio la sua vita, è affascinato dalle culture sciamaniche presenti un po’ in tutto il Sud America e indossa un poncho di lana bianca con geometrie marroni.Quando terminerà il viaggio a Recife, in Brasile, rientrerà a casa e si iscriverà a Psicologia a Brema.Vas, decisamente più fighetto con maniche di camicia risvoltate e Ray-Ban è da poco diventato avvocato in Australia, ma ha deciso di firmare il contratto di lavoro esercitando l’opzione concessa agli universitari australiani di posticipare la data di inizio a un anno dalla laurea.Ha utilizzato 3 mesi di questo tempo per viaggiare in solitaria e terminerà fra poche settimane a Santiago, dove lo aspetta un volo per Sidney.Delle due sorelle, la più giovane, Ivonne ha passato gli ultimi otto mesi in Brasile per uno scambio culturale e linguistico; la maggiore <<Charlotte…nice to meet you>>, <<Hallo! Fransuá nice to meet you too>> è venuta a trovarla e insieme hanno deciso di fare un lungo tour della Bolivia, dopo di che le loro strade si divideranno; chi ritorna a San Paolo e chi prende un bus no-stop fino a Lima per il volo diretto su Parigi dove studia economia finanziaria.

Mi sembra di ritrovare qualcosa del mio passato più o meno recente in ognuno di questi ragazzi: mi sono avvicinato alla vita adulta nell’età mistica e ingenua del giovane Hans, poi ho cercato di convincermi che la strada giusta da prendere doveva essere necessariamente quella verso il famoso “pezzo di carta” quello che sta facendo anche Charlotte, in Finanza, Economia o Giurisprudenza poco importava, dovevo crearmi una posizione, avvicinarmi al mondo del lavoro con la curiosità e l’ottimismo di Vas e abituarmi a quella nuova vita con la fermezza di Antoniò.

Invece, in quel naturale percorso di crescita umana, io, il più anziano, rappresentavo la deviazione imprevista.


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DIVINO ANDINO – IL ROMANZO

Apparentemente Oruro è solo miniere e Carnevale come pensano i tanti turisti che la sottovalutano ma scavando in profondo è pronta a sorprendere; come accadde poco dopo in Calle Ayacucho una volta riconquistata la luce al termine della ripida uscita.Una cosa del tutto inaspettata: lo spaccio diretto di un produttore di vino tra i più famosi di Bolivia: Bodega Campos de Solana (cosa ci faceva in una città di minatori così poco battuta dal turismo?).

Era una marca che ancora non conoscevo, ma l’avevo vista più di una volta nelle carte dei vini di La Paz, a fianco del onnipresente Casillero del Diablo(cileno). Dietro il bancone stava una signora di mezz’età sorridente, probabilmente una parente dei produttori Quando la informammo che eravamo diretti a Tarija(unica zona di produzione di vino in Bolivia), mi appuntò sul retro di un biglietto da visita: Calle 15 April n.259 /663-1933, nel caso volessimo passare a visitare la cantina.

Assaggiai due vini e fu subito amore.

Che gran gusto! Che pulizia! Non so se ero influenzato dalla sorpresa di trovare un banco d’assaggio in un luogo inaspettato, ma i vini mi convincevano. Non hanno un nome, ma solo l’indicazione della varietà con cui sono fatti e l’anno. Monovarietale, Bivarietale, Trivarietale.

Il primo fu un Malbec in purezza, anno 2009. Un vino rosso con riflessi violacei particolarmente carico di colore con odori di frutta rossa  matura e sottofondo di pepe. In bocca lascia una bella persistenza e leggera speziatura, schietto ma non aggressivo.

Poi un fantastico Trivarietal fatto di Cabernet Sauvignon, Merlot e Tannat. Non si sapevano le percentuali, ma sicuramente predominava il Cabernet Sauvignon.

Era un vino particolare, che aveva fatto un passaggio in rovere francese e americano guadagnandone in finezza e eleganza. Il colore era rosso rubino intenso, con un alto residuo fisso dovuto all’imbottigliamento senza filtraggio che ne ha valorizzato il corpo. I tannini erano quasi al punto giusto; avrebbe potuto invecchiare ancora per qualche anno che sarebbe stato comunque molto gradevole.

Un bis di assaggi che avevano aumentato di molto l’aspettativa per la successiva tappa enologica in terra boliviana.Dovevamo rientrare all’ostello, preparare gli zaini e aspettare l’indomani, martedì, il treno settimanale della tratta Oruro-Villazòn con fermata nella notte alla stazione di Uyuni, sempre più a Sud-Ovest, sempre sull’altipiano.


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DIVINO ANDINO – IL ROMANZO

“….Banane e uva, ad appena 10° dall’equatore….”

Mi resi conto che il Perù, pur affacciandosi al panorama vinicolo americano con entusiasmo, soffriva in quanto a qualità per quello che invece dovrebbe essere considerato un bene inestimabile come la ricchezza del suolo e del clima.Notavo che condizioni talmente ideali per l’agricoltura erano un limite alla produzione di vino di qualità, in quanto era praticamente impossibile contenere la crescita e lo sviluppo dei grappoli, con un formale aumento quantitativo di zuccheri, polpa e altrettanti fattori che sicuramente darebbero del filo da torcere anche all’enologo più esperto in cantina.Una conferma di questa idea mi arrivò poco dopo, nella terza e ultima cantina della giornata.Arrivai al tardo pomeriggio, ma riuscii comunque a visitare il vigneto mentre il sole che si stava abbassando colorava il cielo di toni caldi.Una delle varietà più coltivate è la Quebranta, che viene usata in particolare per produrre un mosto da distillare in Pisco.

Evoluzione della varietà Negramoll delle isole Canarie, fu forse una delle prime ad essere coltivate in queste zone ed oggi è considerata autoctona perché dopo centinaia di anni di evoluzione e adattamento al suolo delle regioni di Ica, è cresciuta talmente tanto in dimensioni da “quebrar“, rompere il tralcio che la sosteneva.Da qui il suo nome, Quebranta appunto, un vitigno con caratteristiche nuove, diverse dalla varietà di partenza.Immagino la ricchezza di polifenoli che una simile uva può contenere nella polpa e nelle bucce e realizzo che la vera ricchezza vitivinicola del Perù, non è il vino in quanto tale, ma il Pisco, il distillato di vino la cui caratteristica qualitativa più importante consiste proprio nel poter ritrovare al gusto e all’olfatto le caratteristiche varietali dell’uva con cui è stato prodotto; compito sicuramente facilitato dalle prorompenti qualità dell’uva coltivata.

La bodega, manco a farlo apposta si chiamava curiosamente “el Catador”, l’assaggiatore e sta in un antico fondo chiamato Tres Esquinas; fondata nel 1856, oggi é costituita da 10 ettari di terreno vitati.Conservo ancora oggi un biglietto da visita di questa struttura che mostra le specialità gastronomiche che propongono nel ristorante turistico e incastrato tra questi e una elegante scritta rossa del nome del locale c’è il marchio della “Ruta del Pisco”…

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Un bravo catador poi, riconosce fin da subito, dal colore e dai riflessi in superficie se il prodotto è valido o meno.Supportato dalle analisi chimico fisiche del tecnico, si deve constatare la trasparenza più assoluta senza alcun riflesso verdognolo, che potrebbe derivare dal rame, e ne identificherebbe chiaramente un difetto.Interessante notare il primato, come mi insegna l’Ingegnere, che il Pisco peruviano ha rispetto a tutti gli altri distillati del mondo.Normalmente questi si attestano su una gradazione alcolica di partenza tra i 70 e gli 80 gradi e vengono portati a 40 aggiungendo acqua; nel caso del Pisco questo processo non avviene ma si effettuano due livelli di distillazione, il primo individuando un “cuore” con una gradazione media intorno ai 73° che forma la parte di acquavite che verrà allungata successivamente con un’altra distillazione di prodotto che si attesterà sui 28° circa.Per quest’ultima operazione occorrerà aggiungere una piccola percentuale di mosto fresco alla coda della prima distillazione, fermatasi intorno ai 40°.A questo punto si potrà utilizzare il risultato della seconda distillazione per abbassare il grado alcolico della prima, ed è in questa operazione che si realizza l’unicità del Pisco: un prodotto finale di 41° medi ottenuto senza diluizione con acqua, quindi preservando interamente tutti gli esteri dell’uva di origine.Come fase finale, sono necessari almeno 3 mesi di affinamento in barili di acciaio o vetro, ma non legno, tanto preferito dalle acquaviti europee, che avrebbe l’effetto di alterare le caratteristiche intrinseche del prodotto.Durante questa fase si realizzano una serie di reazioni chimico fisiche che stabilizzano il distillato, smussando l’aggressività dell’alcool.

L’ingegnere a quel punto fece schioccare le dita e con un cenno indicò al cameriere di apparecchiare di fronte a noi l’intera linea di produzione, che comprendeva anche semi preparati per la miscelazione aromatizzati al limone.Il cameriere si affrettò a stendere quattro bicchierini a tulipano a testa e mettere al centro le bottiglie, per favorire l’assaggio; a quel punto il signor Josè ne prese una di Pisco Mosto Verde e ce la versò.<<Deve sembrare come l’acqua>> ripeté giocando con il bicchiere tra le mani e facendogli passare attraverso la luce, per scrutare la sua limpidezza.Era l’approccio visivo al prodotto, quello iniziale, che potrebbe mostrare già qualche difetto.

Lo annusò e diede due piccoli sorsi, quanto è sufficiente a un valido assaggiatore per dare un giudizio sulla qualità.



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