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Immagine del redattoreEmilia Romagna Tour Guide

Aggiornamento: 3 feb 2021

VIA CLAVATURE

Nomi di vie bizzarri in città se ne contano davvero parecchi, ma ce n’è uno che è tra i più citati, se non altro per la posizione assolutamente centrale che questa strada ricopre; si tratta di Via Clavature.

Siamo nel cuore del mercato medievale a pochi passi da Piazza Maggiore. In questo “quadrilatero” fatto di vie ortogonali, troviamo gli antichi nomi derivanti dai mestieri che qui si svolgevano.

Le ipotesi sul nome di questa via sono tante e varie, ma quella che si ritiene più verosimile la da il #Banchieri, storico bolognese. Banchieri sostiene che la parola derivi dal dialettale “ciavadur”, chiavature, che altro non erano che le serrature! Quindi il luogo dove si fabbricavano le serrature.

E’ anche ipotizzabile che essendo questa una zona tipicamente di mercanti, qui vi fossero anche tanti magazzini dove venivano stivate le merci. Queste, per poter essere ben protette, venivano messe sotto chiave e quindi è possibile che le porte fossero rinforzate da decine di serrature, talmente tante da diventare un identificativo della via.

La storia della toponomastica cittadina tuttavia è fatta di cambiamenti e stravolgimenti e questa strada per un breve periodo di tempo successivo alla Prima Guerra #Mondiale, fu rinominata Via Piave, per celebrare le gesta militari italiane.

Non tutti sanno che… esiste anche una mappatura delle cosiddette “vie estinte” ovvero vicoli o vie che nel corso del tempo sono state chiuse o trasformate, o addirittura inglobate in costruzioni private. Quest’ultimo fatto avviene proprio al civico 18. Il corridoio interno che porta all’ingresso della #Trattoria Gianni, era un antico vicolo chiamato vicolo beccapesce o “fossa di San Silvestro”. Questi nomi ricordano il fatto che la Bologna medievale era fitta di fiumi e canali ed è quindi ipotizzabile che in quel punto vi arrivasse una piccola derivazione dell’Aposa che scorre qualche metro più ad oriente.


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Aggiornamento: 3 feb 2021

ARISTOTELE FIORAVANTI

Dietro la meravigliosa facciata rinascimentale del Palazzo del Podestà, c’è la mano di un geniale architetto bolognese, forse non eccessivamente famoso, la cui bravura lo ha portato a successi anche molto lontano da Bologna.

#Aristotele Fioravanti, figlio di Fioravante Fioravanti (architetto che contribuì alla realizzazione della parte “gotica” di Palazzo d’Accursio), fu ingegnere e architetto a servizio del comune di Bologna durante la seconda metà del 1400.

La sua impresa del 1455 gli valse il soprannome di “l’uomo che muove le torri”.

Era l’agosto di quell’anno e il comune, in accordo col rettore Achille Malvezzi della chiesa di San Giovanni Gerosolimitano decise di spostare la torre della Magione che sorgeva all’angolo tra le attuali #Strada Maggiore e vicolo Malgrado. Il motivo di questa insolita richiesta poteva essere trovato nel fatto che in quella posizione la torre oscurasse Porta Maggiore, altri invece sostenevano che nelle fondamenta si trovasse il tesoro dei Templari che avevano abitato la torre secoli addietro.

Fu un’impresa ciclopica quasi paradossale certamente incredibile. Le cronache dell’epoca raccontano di gruppi delle più varie persone, di ogni cultura e di ogni ceto sociale, tutte assiepate ad assistere a quello spettacolo tra sospiri, terrore e risa. Molti maligni sostenevano che non ce l’avrebbe mai fatta e che la torre, alta 25 metri e del peso di 400 tonnellate era destinata a cadere al suolo. E invece Aristotele Fioravanti sorprese tutti, traslando in tutta sicurezza la torre di circa 13 metri attraverso un complesso sistema di argani e cilindri.

L’eco della sua impresa giunse in ogni dove. Una lettera con un resoconto dettagliato dell’evento fu immediatamente inviata a Francesco Sforza, duca di #Milano e moltissime città italiane si contesero i servigi dell’abile bolognese, visto che sembrava in grado di fare ogni cosa e di risolvere ogni problema. Ben presto anche illustri sovrani di Paesi lontani si fecero avanti per averlo nelle proprie corti.Oltre che a Milano alla corte Sforzesca, operò a #Firenze presso Cosimo de’Medici e alla corte ungherese dove progettò un robusto sistema difensivo di muri e castelli tra cui il castello di Buda.

Nel 1475, su invito di Ivan III, si recò in Russia, dove diresse la costruzione della cattedrale dell'Assunzione nota anche come cattedrale dell'Assunzione: è la chiesa madre del granducato di Moscovia che si affaccia sulla piazza delle Cattedrali al Cremlino di Mosca.

Edificò questa cattedrale usando una tecnica ultramoderna simile al cemento armato, certamente innovativa per l’epoca che consisteva nell’inglobare uno scheletro di ferro all’interno della costruzione.

Per molti anni #Fioravanti operò prodigi in tutto l'impero, servendo fedelmente Ivan III. Più volte chiese il permesso di poter tornare in patria, facendo intervenire anche il Governo di #Bologna, ma lo zar Ivan III fu irremovibile e negò l'assenso ad ogni sua istanza.

La sua morte rimane un mistero. Pur essendo trattato con ogni servigio non potè più tornare in patria ed è sconosciuto persino il suo luogo di sepoltura.


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L’albero della Libertà


Sul finire del 1700 molte città italiane furono travolte dall’ondata rivoluzionaria proveniente dalla Francia e dai nuovi valori popolari di libertà, uguaglianza e fratellanza.

Per celebrare quel momento furono piantati al centro delle città i cosiddetti “Alberi della Libertà”. Il primo, fu piantato a #Parigi nel 1790 ed era praticamente un palo sormontato dal berretto frigio rosso e adorno di bandiere nazionali.

Il palo (o l'albero) era un'allegoria della libertà, un simbolo rivoluzionario ma ancorato anche alla tradizione popolare contadina del Calendimaggio ( tradizione viva ancor oggi in molte regioni d'Italia come allegoria del ritorno alla vita e della rinascita legata al culto della primavera). La danza che si ballava intorno all'albero era la Carmagnole che era anche il canto della rivoluzione francese.

#Ravenna non fu esente da questa ventata rivoluzionaria e con l’arrivo delle truppe francesi in città nel 1797 fu piantato il primo Albero della #Libertà.

Generalmente gli alberi della libertà erano piantati nella piazza principale della città e molti di questi alberi furono sradicati una volta passato il periodo rivoluzionario francese, chiaramente osteggiato dal potere pontificio.

Col tempo l'albero assunse anche un’ulteriore valore simbolico; non fu solo l'emblema della libertà, ma anche quello della Repubblica e della rivoluzione sociale, per questo il berretto fu presto sostituito dalla bandiera rossa e fu spesso impiantato in eventi collegati alla ideologia repubblicana.

Al termine delle battaglie risorgimentali del 1849, nella breve parentesi della #Repubblica romana, che interessò anche Ravenna, l’albero della libertà distrutto dallo stato pontificio fu presto ripiantato nello stesso posto in cui si trovava il precedente.

Il patriota ravennate Primo Uccellini, quando scrisse le sue memorie riguardo al tempo della Repubblica Romana del 1849 ricordò che il carbonaro Andrea Garavini che nel 1797 aveva piantato in Ravenna il primo #albero della libertà, gridava "scavate qui che troverete le radici di quell’albero carbonizzato!”

Nel 1904 per ricordare questi eventi, il Comune di Ravenna pose al cento di Piazza del Popolo una targa commemorativa in marmo, restaurata nel 2016.




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