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Aggiornamento: 3 feb 2021

Le Piallasse

Quando l’Imperatore Onorio decise di trasferire la capitale dell’Impero Romano d’Occidente da #Milano a Ravenna, decise di seguire i consigli di tanti strateghi che gli fecero notare che da un punto di vista militare, Ravenna era una città inespugnabile.

Dobbiamo immaginare la città e tutto il territorio circostante in maniera completamente diversa da come è oggi. Ravenna si trovava in un complesso lagunare, fatto di acque salmastre stagnanti che dalla linea di costa si addentravano quasi fino agli #Appennini. Il Mare #Adriatico lambiva la città, basti pensare che al tempo dei Romani si trovava all’incirca dove oggi sorge la Stazione dei treni. La presenza del Porto di Classe poi, ben protetto da mura e torri, garantiva un estremo baluardo difensivo oltre che una eventuale via di accesso agli aiuti dall’esterno. La struttura topografica di Ravenna era quindi davvero particolare, fatta di isolotti collegati da ponti, dune, insenature di acqua salata e fiumiciattoli d’acqua dolce.

Non tutti sanno che a pochi chilometri dal centro cittadino sopravvivono ancora due aree naturali retaggio di quelle antiche paludi che da sempre han circondato Ravenna: sono la Piallassa Baiona e Piomboni.

Il termine Piallassa è di conio prettamente ravennate ed è usato per indicare una vasta estensione di acqua salmastra collegata al mare da un canale e articolata al suo interno da una ulteriore rete di canali suddivisi da barene (dossi). In periodo di alta marea le acque dei fiumi, a causa della debole pendenza, non riescono a defluire in mare ristagnando in queste zone; solo con la bassa marea esse vengono lentamente smaltite. Da cui il significato del termine pialassa, vale a dire “piglia e lascia”.

La Pialassa della Baiona è un'area naturale protetta situata nel comune di Ravenna, a circa 10 km a nord della città. L'area è caratterizzata da un bacino lagunare di acqua salmastra, con limitatissimi apporti di acqua dolce e tra canali e chiari d’acqua trovano habitat numerose specie vegetali come giunchi, salicornie e arbusti (tamerici, rovi e vitalba) che di uccelli come avocette, cavalieri d’italia, fratini e garzette.

Lungo i canali si trovano numerosi capanni da caccia e da pesca, presso uno dei quali - denominato Capanno del Pontaccio - trovò rifugio Giuseppe Garibaldi il 7 agosto 1849.

La Pialassa dei Piomboni invece, molto più piccola della precedente è localizzata a Sud del #Porto Canale di Ravenna, il Candiano, tra le ultime propaggini urbane e la zona litoranea. Questo ecosistema interessa la zona umida della Pialassa, la pineta costiera e il mare con l’importante sistema di dune attive.

Anche qui trova ospitalità una variegata avifauna come l’avocetta, il cavaliere d’Italia, la starna oltre a uccelli migratori come gli svassi e i fenicotteri rosa.

Purtroppo questa area è interessata da un forte presenza industriale e umana che nel tempo, ha alterato l’equilibrio naturale in maniera significativa.

Nel 1981 le Piallasse ravennati sono state incluse nelle liste delle zone umide italiane di importanza internazionale tutelate dalla Convenzione di Ramsar.

La pineta di San Vitale e le piallasse ravennati insieme alle zone umide di Volano, Mesola e Goro; il centro storico di #Comacchio, le Valli di Comacchio, la pineta di Classe e le Saline di #Cervia fanno parte del Parco regionale del Delta del Po, per un’estensione di 54 000 ettari tra le province di Ferrara e Ravenna. Il 2 dicembre 1999 il parco del delta del Po è entrato a far parte della lista dei patrimoni dell'umanità stilata dell'#UNESCO, aggiungendosi al territorio della città di #

Ferrara.

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Aggiornamento: 3 feb 2021

I PINOLI DI RAVENNA


Ne “Il Gioco della Cucagna che mai si perde e sempre si guadagna”, un’acquaforte di mm 310×441, a stampa, del 1691 realizzata dal famoso incisore Giuseppe Maria Mitelli e conservata in Biblioteca #Classense sono rappresentate “le principali prerogative di molte città d'Italia circa le robbe mangiative”.

A fianco di prodotti come le mortadelle bolognesi, il moscato di #Venezia e il torrone di Cremona è riportata anche una eccellenza ormai scomparsa della nostra città: I Pinoli di Ravenna.

Frutto di quella pineta tanto celebrata nel passato da poeti come #Dante e Byron, i pinoli ravennati erano tra i prodotti più commercializzati e ricercati dal medioevo a fino a fine Ottocento.

E’ proprio grazie alla pineta che per secoli i nostri territori hanno vissuto e prosperato. Scriveva lo storico e agronomo Tanara nel suo “L’Economia del cittadino in Villa” (1674) che la realizzazione della pineta può essere messa in relazione con la ricchezza economica offerta dal pino. [...]Dal pino si possono ottenere ben dieci prodotti diversi: anzitutto i pinoli e l’olio che da questi si estrae, oltre a resina, fumo di resina e pece greca (per fare inchiostro per gli stampatori), altra pece estratta dalle radici col fuoco, carbone, scorza macinata (infuso da usare per dare conservabilità alle reti da pesca), cenere e legname, che #Virgilio diceva essere ottimo per la costruzione delle navi.

Per secoli lo sfruttamento economico delle pinete era prerogativa degli ordini religiosi che controllavano vaste aree boschive mentre il popolo aveva su di esse il solo diritto del legnatico, cioè della raccolta di legna secca da ardere.

A partire dal 1798, con la soppressione degli ordini religiosi succeduta alla Rivoluzione francese, le #Pinete ravennati, arrivate a coprire una superficie di circa 7 mila ettari, iniziarono il loro declino per lasciare il posto all’agricoltura. Avvicinandosi all’epoca moderna la faticosissima operazione di raccolta delle pigne è andata sempre più diminuendo.

Una testimonianza dettagliata In merito alla raccolta dei pinoli, o “pinocchi”, ci arriva dalle pagine del conte Ginanni (1774): “Lunghe sono, e brigose le operazioni della ricolta de’ pinocchi … in sul primo incominciare dell’Ottobre in questo spaziosissimo bosco hassi in costume di raunare per ogni Pineta un’assai numerosa schiera di uomini robusti, che nelle Pinete di S. Vitale e di Classe sono in gran parte Alpigiani, e col nome di Pinajuoli vengono riconosciuti”.

Conclude il Ginanni confermando che quelli di Ravenna sono “stimati i #pinocchi migliori dell’Italia”

I“pinajuoli” o pignaroli erano lavoratori stagionali che venivano ospitati in case in prossimità delle pinete e all’alba partivano con l’idonea attrezzatura (lunghe aste uncinate, dette “Ancini”) per raccogliere le pigne, che in un secondo momento , verso primavera inoltrata, venivano gestite per estrarne i frutti contenuti all’interno. Il loro era un mestiere duro e pericoloso, organizzato in squadre dove alcuni operai si arrampicavano fino ai rami alti dell’albero. Ne fornisce una attenta ricostruzione anche Tino Della Valle nel suo romanzo “I Giorni Rossi”, descrivendo quelli che sono stati gli ultimi pignaroli di inizio #Novecento.

Dal sapore delicato eppure deciso, i pinoli si apprezzano soprattutto se freschi e ben conservati.

L’olio dolce che contengono infatti irrancidisce con facilità e i pinoli vecchi possono risultare indigesti.

La medicina popolare attribuiva ai pinoli un grande potere emolliente. Plinio il Vecchio scriveva : “I pinoli spengono la sete e calmano i bruciori dello stomaco”; dagli Arabi erano considerati afrodisiaci. Anche il Tanara riporta una serie di proprietà salutistiche: “giovano al polmone, al petto, alla tosse, mondano le reni e la vescica”

Il naturalista Leclerc, affermava che i pinoli hanno virtù medicinali, sono convenienti ai tisici e alle persone molestate da tosse invecchiata, perché facilitano l’espettorazione” .

Le analisi nutrizionali di oggi ci dicono che i pinoli contengono numerosi sali minerali e alcuni amminoacidi essenziali, perciò sono dotati di proprietà antiossidanti e aiutano a proteggere il sistema cardio-vascolare. Le sostanze preziose

contenute nei pinoli aiutano il nostro organismo a contrastare l'azione dei radicali liberi e il processo di invecchiamento. Fra le vitamine presenti nei pinoli la luteina è benefica per la vista. Inoltre, i pinoli sono in grado di donare energia senza incrementare il senso di fame. Contengono infatti delle particolari sostanze, come l'acido pinoleico.

Ogni anno verso fine Aprile, nella splendida cornice della pineta di classe si svolge la Sagra del #Pinolo, per celebrare questo gustoso e tipico prodotto naturale.



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Aggiornamento: 3 feb 2021

Il vino di Galla Placidia


Insieme al rosso Sangiovese, il bianco #Albana è considerato il vino-simbolo della nostra Regione. È prodotto dall'omonimo vitigno, capace di rendere al meglio sopra la linea del gesso che attraversa la nostra collina tra l'imolese e il faentino e nella zona di #Bertinoro.

La produzione si sviluppa principalmente nelle province di Forli-Cesena, #Ravenna e anche nei Colli Bolognesi dove per molto tempo è stato considerato il bianco locale, prima di essere soppiantato dal Pignoletto.

Si dice sia un vitigno antichissimo forse già in uso agli Etruschi nel territorio di Marzabotto e da lì si potrebbe essere diffuso lungo l'Appennino, verso il mare.

Era certamente molto apprezzato anche dai romani, tant'è che il suo il suo nome deriva da ‘albus’, termine latino per 'bianco' e ed era considerata la migliore delle uve a bacca bianca.

Tante altre leggende uniscono questo vino dal colore dorato ai Romani d'Occidente e in particolare all'Imperatrice Galla Placidia.

Narra la leggenda che Galla Placidia in viaggio da Roma a Ravenna, assaggiando quel nettare dorato in una misera coppa di legno esclamò: “Bisognerebbe berti in oro!” e da allora, si dice, alla corte di Ravenna si bevve Albana in preziosissime coppe dorate e da quel fatto si ritiene derivi il toponimo Bertinoro, considerato il territorio migliore per questo vitigno. Per dovere di cronaca, la leggenda vuole che nel paese di Gambellara, a metà strada tra la sosta e l'arrivo, fu il luogo in cui Galla Placidia col suo cocchiere caddero rovinosamente in un fosso...a gambe all'aria!

L'Albana è un vino storico sotto tanti punti di vista, ad esempio è stata la prima Docg riconosciuta in Italia nel 1987 e da allora viene valorizzato in tante tipologie di vinificazione.

Se da tradizione l’Albana era considerato il classico vino del contadino, torbido e smaccatamente dolce, oggi sta vivendo una rinascita guidata da tanti vignaioli che hanno appena iniziato a scoprire quante soddisfazioni possa dare questo antico vitigno, che, è bene ribadirlo, è coltivato solo in Romagna.

Oltre al #Romagna Albana Spumante Doc, che consente la produzione di uno spumante dolce con una buona parte di uve sottoposte ad appassimento, si produce Albana in tante altre forme.

I capisaldi della lavorazione di quest'uva sono nella forma passita, capace di dare vini dal colore giallo ambrato vivaci e luminosi con un ampio bouquet di profumi che variano su note di fiori secchi, albicocca sciroppata, cedro e spezie.

Ben denso, materico, e avvolgente all'assaggio. Tra i più famosi e riconosciuti a livello internazionale ci sono anche i vini prodotti con uve da vendemmia tardiva con attacco della muffa nobile i cosiddetti vini "muffati". Questi danno passiti dai sentori molto particolari con note di china, zafferano, ricordando certi blasonati #Sauternes francesi.

Sempre nel tema della ricerca produttiva si sta valorizzando anche l'Albana in versione secca, capace di restituire un'altra particolarità di questo vitigno. L'albana ha infatti acini con buccia spessa e ricchi di tannini, gli stessi che si ritrovano disciolti nel vino e che gli hanno valso il soprannome di "rosso travestito da bianco".

Capita infatti che in degustazione alla cieca molti lo confondano per un #Sangiovese invecchiato dotato di tannini morbidi e vellutati visto che questa caratteristica organolettica non è quasi mai presente in un vino bianco.








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